lunedì 22 settembre 2014

La resilienza dell'€uro (9)

Le “lievi anomalie” dello SME


L’introduzione dello SME diede luogo a lunghe discussioni sul modello da utilizzare per la sua realizzazione, il cui riflesso è rintracciabile nella stessa denominazione adottata, qualche anno più tardi nel trattato di Maastricht, per indicare la nuova realtà politica in costruzione. Il punto d’incontro tra la posizione federalista di Helmut Kohl, e quella francese che, orientata verso un assetto più centralistico, proponeva l’adozione del termine “Stati Uniti d’Europa”,  fu infine la scelta della denominazione “Unione Europea”.

Il problema era costituito dalla definizione dei meccanismi attraverso i quali “agganciare” i cambi reciproci delle diverse monete nazionali. La soluzione verteva sull’introduzione di una moneta, chiamata ECU, il cui valore fosse una media pesata in proporzione alle dimensioni delle economie dei paesi partecipanti. I francesi avrebbero voluto che questa moneta fosse reale, seppure non circolante, e che tale media fosse determinata variando, nel tempo, il peso delle monete partecipanti in base a quello delle economie sottostanti. Ad esempio, se l’economia dell’Italia fosse diminuita rispetto agli altri paesi, il peso della lira avrebbe dovuto diminuire proporzionalmente.  I tedeschi erano invece favorevoli ad un meccanismo in base al quale, una volta determinato il valore dell’ECU sulla base di un paniere pesato sulle dimensioni di ogni economia, le parità rispetto all’ECU sarebbero servite solo a determinare una griglia di parità bilaterali, in base alle quali determinare margini di intervento (bilaterali) coordinati dalle Banche Centrali dei paesi partecipanti, presi due a due. La soluzione che venne alfine adottata fu un compromesso tra le due visioni, che avrebbe favorito, negli anni successivi,  il persistere dell’ambiguità rispetto agli esiti finali del processo di integrazione: la Germania avrebbe continuato a guardare all’ECU (e successivamente all’euro) come ad una moneta al cui valore ogni economia avrebbe dovuto “adattarsi”, inizialmente attraverso svalutazioni/rivalutazioni esterne concordate, cioè attraverso variazioni dei rapporti di cambio bilaterali; successivamente, una volta introdotto l’euro, attraverso le svalutazioni interne (cioè compressioni del costo del lavoro).

La soluzione adottata stabilì che l’ECU fosse una moneta puramente scritturale, nella quale cioè non si potessero detenere riserve, definita sulla base di un paniere al quale concorrevano le monete nazionali in proporzione al peso delle economie sottostanti, e con soglie di intervento bilaterale determinate in funzione del peso di ogni economia. Alla prova dei fatti, tutti gli stati partecipanti adottarono soglie di oscillazioni rispetto alla parità centrale del ±2,25%, ad eccezione dell’Italia, alla quale fu accordata una soglia di oscillazione più ampia del ±6%.

Mitterrand e Kohl a Verdun nel 1984
La discussione sul modello da adottare per lo SME rifletteva da un lato l’entusiasmo della Francia, i cui obiettivi erano essenzialmente finalizzati alla costruzione di un’entità politica attraverso la quale contrastare gli Stati Uniti; dall’altro la diffidenza tedesca nel lasciarsi coinvolgere in un’iniziativa che, oltre a condizionarne la politica economica, rischiava di allontanare la prospettiva della riunificazione con la Germania Est. Sarebbe stato il crollo dell’URSS, un decennio più tardi, a convincere Kohl ad aderire al progetto della moneta unica, proprio in cambio dell’appoggio francese alla riunificazione. Ottenuta questa, la Germania ha potuto giocare la sua partita per l’egemonia in Europa. Con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti.

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