domenica 26 aprile 2015

L'eurosindacalismo (e un piccolo esercizio di "populismo")

Dati di fatto in premessa


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Da wikipedia: «A Bologna (gennaio 1922 I° Convegno sindacale del Partito Nazionale Fascista - PNF) vennero inoltre affermati i principi basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali, una nuova formazione antisocialista ed anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno nel 1934) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica (...) con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione"»

Da "Il Messaggero", intervista a Roberto Di Maulo, segretario Fismic: «La fabbrica Fiat è cambiata. Oggi, per semplificare, non è più l'azienda ma l'operaio che decide come usare l'avvitatore. Questo passaggio culturale obbliga il sindacato a cambiare marcia - spiega Roberto Di Maulo, segretario Fismic - Finita l'epoca della lotta al padrone, ma anche quella degli aumenti salariali basati sull'inflazione, ora si corre il rischio di una disintermediazione totale. Ovvero che Fiat costruisca un rapporto diretto con i lavoratori, saltando il sindacato... E' essenziale un sindacato con una visione generale, dell'azienda e della società, ma poi servono delegati preparati - spiega Di Maulo - in grado di controllare l'organizzazione del lavoro, di proporre tagli dei costi che aumentino l'efficienza delle fabbriche e, di conseguenza, i premi salariali. Non serve un sindacato giallo, la lotta di classe è finita. Agli operai è utile invece una rappresentanza che aiuti a risolvere i problemi aziendali e che abbia la forza di spostare sul lavoro una maggior quantità di profitti»

Per finire, questa intervista a Marco Bentivogli (Cisl-Fim):


Premessa


Se qualcuno sta pensando che voglia paragonare la svolta sindacale intrapresa dalla Cisl-Fim con il sindacalismo fascista, ebbene è sulla strada sbagliata. Di tutte le porcherie ascrivibili al fascismo, la sua politica sindacale non è tra queste. Non che il fascismo sia stato un amico dei lavoratori, ma quello che è in gestazione nell'universo euroliberista, sotto la supervisione del mostro di Firenze, è qualcosa di molto peggiore, al cui confronto il sindacalismo fascista è un giardino delle delizie. Per capirci: il fascismo introdusse le ferie pagate, l'indennità di licenziamento, la conservazione del posto in caso di malattia, il divieto di licenziamento in caso di maternità, gli assegni familiari, la diffusione delle casse mutue aziendali, l'assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Tutte cose che, nel liberismo gold-standard, non esistevano, e che l'euroliberismo ci sta togliendo con la complicità degli eurosindacalisti.

Quello che c'è di simile, di sinistramente simile, è il linguaggio. Ma questo non ci sorprende: l'euroliberismo è campione del mondo quanto a manipolazione del discorso. 

Il refrain è però identico: la lotta di classe è finita. Ah davvero?

Svolgimento


La differenza tra l'oggi e il ventennio fascista è nel quadro generale. Al posto della Nazione c'è la globalizzazione, descritta come un dato di natura, dunque imprescindibile. Al posto del ruolo interventista, in economia, dello Stato, oggi c'è l'idea del libero mercato. La mia tesi è che l'eurosindacalismo è peggio del sindacato unico fascista, perché l'idea di fondo è che il lavoro debba competere in uno scenario globale, lasciando alla concorrenza il compito di stabilire i livelli salariali e le tutele di ordine generale.

Il piddinume che infesta questo povero paese, quello (che crede di stare) con il culo al caldo ovviamente, è pronto a sostenere la tesi "E' la globalizzazione bellezza!". Quanto segue non è scritto per questi reflui del pensiero politico, ma per quei lavoratori che subiscono, sulla loro pelle, le conseguenze dell'euroliberismo e, presto, dell'eurosindacalismo. Ricordo un tipo che, quando ero giovincello, tentava di spingermi sull'altra sponda: "se lo prendi nel culo, poi diventi più intelligente!". Ecco: parecchia gente sta diventando più intelligente, e molti altri seguiranno. Parlo e scrivo per loro, non per il piddinume.

Il punto è: in un contesto globale, chi deve competere, in che misura deve competere, se deve necessariamente competere, chi deve portare sulle spalle il peso della competizione.

La risposta dei sovranisti è: deve competere tutta la Nazione, nella misura (e solo nella misura) in cui si apra al commercio internazionale in base a scelte sovrane e, laddove si scelga di competere, il peso della concorrenza lo sostiene tutta la Nazione e non la singola categoria di lavoratori o solo i lavoratori in generale.

Esattamente il contrario della visione euroliberista. Tu, lavoratore, produci automobili? Ebbene, siccome queste vengono prodotte anche in Serbia con un costo del lavoro che è un quinto di quello italiano, tu lavoratore devi guadagnare di meno. Questa connessione di fatti viene presentata come inevitabile: è così perché non può che essere così. Si dimentica di ricordare che la possibilità di importare ed esportare senza limiti e controlli è la conseguenza di atti giuridici, chiamati accordi internazionali. Sono questi accordi, un fatto precipuamente politico, che hanno disegnato lo scenario che viene presentato come un fatto di natura.

Il piddinume obietta: ma se tutti stanno nel mondo globalizzato, noi non possiamo tirarci fuori. Ora, se il piddinume intende dire che se ci tiriamo fuori veniamo invasi militarmente, oppure ci esponiamo alla ritorsione sotto forma di terrorismo importato, allora se ne può discutere. Ma, in tal caso, dovrebbe almeno essere chiaro che siamo in una condizione di schiavitù nazionale, e trarne le inevitabili conseguenze (se siamo uomini e non caporali).

Supponiamo di non essere invasi, e ragioniamo su come potremmo stare in uno scenario globalizzato con la nostra sovranità nazionale. A livello macroeconomico dovremmo avere la nostra moneta, una Banca Centrale dipendente dalla democrazia e una politica del cambio flessibile. A livello settoriale (perché la sola politica monetaria non può incidere con la necessaria intensità sul piano settoriale) avremmo la politica daziaria. Ci si guarda intorno e si chiede: chi è disposto a scambiare il nostro ottimo vino con delle buone automobili? Voi serbi, siete disposti ad accordarvi per uno scambio alla pari tra il vino (che, diGiamolo, è meglio del vostro) e le vostre automobili? Ci si incontra, si stabiliscono tariffe doganali eque tali da non generare squilibri di bilancia commerciale bilaterale e si comprano le macchine serbe in cambio di vino. E chi vuole la macchina tedesca? La paga un botto, perché oltre al prezzo di fabbrica ci sarebbe un dazio pesante! Guardate, non ci voglio girare intorno: lo scambio è tra consumi più morigerati e maggiore giustizia sociale. Ovvero: quello che la Nazione non può permettersi di consumare non lo consuma, e chi lo vuole ugualmente lo paga un botto e sono cazzi suoi. Pagano i ricchi, non i lavoratori.

Ma questo è dirigismo! Grida il piddinume. No cari, questa è la Costituzione del 1948. Una Costituzione che non è collettivista, perché riconosce il diritto all'iniziativa privata, ma prevede anche l'intervento diretto dello Stato nell'economia; soprattutto laddove il capitale privato fallisce: vuoi perché non ha interesse a investire in settori a scarsa redditività, vuoi perché alimenta e genera crisi nella misura in cui non si fa carico a sufficienza dell'interesse generale, essendo interessato solo al profitto. Ecco, quando il capitale privato fallisce, secondo la nostra Costituzione interviene lo Stato, ma non per salvare il capitale privato, bensì i lavoratori.

Il piddinume torna alla carica: ma così andrebbe perduta la dotazione di capitale monetario! Passata la crisi, poi, chi investirà? Buono piddinuzzo, che la dotazione di capitale monetario uno Stato a moneta sovrana ci mette niente a ricostituirla, mentre la dotazione di capitale reale (che i privati sacrificano senza problemi, a loro interessa solo il capitale monetario, il loro) quella, una volta persa, vi vogliono tanti sacrifici per ricostituirla. Sacrifici dei lavoratori. In sostanza, la Costituzione del 1948, per chi la sappia intendere nello spirito e nella sostanza, lanciava una sfida all'iniziativa privata in questi termini: cari capitalisti, se siete capaci di regolarvi allora siete i benvenuti; ma se pensate di scaricare sulle spalle dei lavoratori il costo della vostra ingordigia e cupidigia, allora vi siete fatti male i conti: a quel punto interviene lo Stato assumendo la responsabilità di intere filiere produttive sottraendole, per conseguenza, al profitto privato!

Un bel lacciuolo, non c'è che dire! Determinato da un equilibrio diverso della lotta di classe, quella che gli eurosindacalisti affermano essere finita perché, oggi, è diverso. No cari, oggi non è diverso da come è sempre stato! Siete voi che siete diversi, siete voi che avete fatto il salto della quaglia mettendovi al servizio degli interessi privatistici. Si lamentano anche, come fa Marco Bentivogli della Cisl-Fim, secondo il quale "il paradosso è che buona parte del sindacato perde iscritti ma aumentano i sindacatini". La soluzione qual è, per il Bentivogli? Ma è ovvio, un bell'Italicum sindacale, cioè un insieme di provvedimenti che, da un lato, reprimano il diritto di sciopero, dall'altro limitino il diritto alla rappresentanza sindacale. Insomma, il pericolo sono i "sindacatini", che gli fanno concorrenza! Ma come, non siete voi che parlate di concorrenza globale? Ah già, ma voi intendete "concorrenza verso il basso di salari e diritti", mica la concorrenza sul piano della rappresentanza! Vergognatevi, se ne siete ancora capaci!

Che fare davanti all'offensiva su due fronti, quello politico-istituzionale e quello sindacale? La situazione è di una gravità eccezionale: mentre il mostro di Firenze procede a colpi di maggioranza nel tentativo di far approvare la legge Acerbo 2.0, alias l'Italicum, gli eurosindacalisti sferrano l'attacco al diritto di sciopero e di rappresentanza dei lavoratori. La risposta non può che essere all'altezza della sfida che viene lanciata, di una durezza almeno pari ad essa. Tutti i lavoratori devono capire che deve cessare ogni sostegno, di qualsiasi natura, ai partiti della grande intesa, e devono restituire le tessere dei grandi sindacati iscrivendosi ai sindacatini, scegliendo quelli più determinati nel difendere gli interessi del mondo del lavoro.

Parlano di concorrenza questi musi di bronzo? E diamogliela questa concorrenza, facciamoli contenti!

1 commento:

  1. Il paragone più che col fascismo è con il pinochettismo, ovvero un autoritarismo liberista. Qui possono evitare di usare le armi ... ma anche no.

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