mercoledì 15 marzo 2017

Convergenza, democrazia, sovranità - Vladimiro Giacchè


Quelle he seguono sono mie personali considerazioni, sebbene ispirate dall'intervento di Vladimiro Giacchè


Affinché un'unione monetaria, costruita politicamente secondo i principi del federalismo europeo, possa durare nel tempo senza compromettere la libertà e la democrazia negli Stati aderenti (prima i più deboli, a seguire tutti gli altri), è necessario che vi sia convergenza dei tassi di interesse, quindi dell'inflazione, tra gli Stati aderenti. Questa convergenza può essere di due tipi:
  1. I differenziali sono costantemente nulli o di entità irrilevante
  2. I differenziali cambiano di segno nel corso del tempo
La prima possibilità non si è verificata perché, a meno che non vi sia una politica concertata di tipo monetario e fiscale, nonché investimenti pubblici - e dunque uno Stato centrale forte dotato di capacità di spesa - essa non può che manifestarsi casualmente per una favorevole quanto occasionale e transitoria congiuntura.

Resta la seconda possibilità: ad un periodo nel corso del quale in un gruppo di paesi si instaura una fase di crescita - e negli altri una fase restrittiva, deve seguirne una nella quale la polarità si inverte. Nell'eurozona è accaduto che durante la prima fase, dal 1999 al 2007, c'è stata espansione nella periferia e contrazione al centro. A quel punto - a maggior ragione per la concomitante crisi dei subprime in America, si sarebbe dovuta instaurare una polarità inversa: i paesi della periferia avrebbero dovuto attuare una politica restrittiva e, soprattutto, i paesi del centro entrare in una fase espansiva. Insomma toccava alla Germania!

Ma la Germania, che per farlo avrebbe dovuto favorire una sostenuta crescita salariale, con essa i consumi e quindi le importazioni, accettando una perdita di competitività di prezzo dei suoi prodotti, ha invece continuato imperterrita sulla strada di una politica restrittiva. In tal modo ha spostato tutto l'onere dell'aggiustamento sulle spalle dei paesi che, precedentemente, avevano condotto una politica espansiva, ovviamente indebitandosi. Non avendolo fatto, poiché in Germania i salari sono restati sostanzialmente fermi, nei paesi indebitati essi sono crollati, la disoccupazione è cresciuta e il Pil si è contratto.

Tutto questo ci consegna un problema che è eminentemente politico. La domanda è se quanto accaduto sia l'esito della pianificazione politica di un gruppo di paesi - ovvero delle élites di tutti, oppure di un grave e sconcertante errore di progettazione economico sociale della zona euro. Si può essere cioè "complottisti" - c'è stato un piano di un gruppo di paesi: la Germania e i suoi satelliti, "super complottisti" - c'è stato un piano delle élites di tutti i paesi, oppure "economisti" - c'è stato un errore di progettazione.

Non sono vietate interpretazioni che siano una combinazione lineare delle predette. Credo ci sia un po' di verità nel pensare ad un coordinamento delle élites di tutti i paesi, dell'altra nel constatare gli errori di progettazione, e altra infine nel sospettare che fin dall'inizio la Germania abbia finto di accettare regole del gioco che ha subito trasgredito. Quest'ultimo, a mio avviso, è oggi l'aspetto cruciale della situazione dal punto di vista politico. Non i tecnici (gli economisti), non la Koinè del capitalismo europeo, ma solo la Germania ha la forza per affrontare, almeno nel breve periodo, la crisi dell'eurozona. Pur considerando valide tutte le altre ragioni di crisi, con il peso diverso che ognuno è libero di dare ad ognuna di esse, in questo momento le scelte di politica economica della Germania sono l'aut-aut del destino dell'euro. Senza l'avvio di una vigorosa politica espansiva in quel paese la situazione rischia di precipitare. E oggi si vota in Olanda.

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