lunedì 25 agosto 2014

Fondamenti di lotta di classe (1)

Prologo


Una cosa che colpisce nelle battaglie dell'antichità è l'enorme sproporzione che, talvolta, si verificava tra le perdite dei vincitori e degli sconfitti. Tale sproporzione non era conseguenza, come oggi, di un'asimmetria nella dotazione di armamenti, come è stato ad esempio nella prima guerra del golfo. Anzi, spesso accadeva che fosse l'esercito numericamente più consistente a restare sconfitto con perdite straordinarie. Alcuni esempi:

  1. La battaglia di Canne (2 agosto 216 a.C.): 86.000 romani contro 28.500 cartaginesi. Perdite: 70.000 fanti, 6.000 cavalieri e 10.000 prigionieri tra i romani, 5.700 tra i cartaginesi.
  2. Battaglia di Aquae Sextiae (102 a.C.): 50.000 romani contro 130.000 teutoni e ambroni. Perdite: 1.000 tra i romani, 90.000 tra i teutoni e gli ambroni.
  3. Battaglia di Maratona (490 a.C.): 9.000/20.000 greci contro 10.000/30.000 persiani. Perdite: 192 tra i greci, 6.400 tra i persiani.
  4.  Battaglia di Farsalo (48 a.C.): 23.000 uomini agli ordini di Cesare e Marco Antonio contro 50.000 uomini agli ordini di Pompeo. Perdite: 200 tra i soldati di Cesare e Marco Antonio, 15.000 morti e 24.000 prigionieri tra gli uomini di Pompeo.
L'elenco potrebbe continuare, ma la cosa non stupirebbe gli esperti di tattica militare. Il fatto è che, fino a quando gli opposti schieramenti si fronteggiavano ordinatamente, le perdite erano equivalenti e limitate, dall'una e dall'altra parte. Quando però, nel corso della battaglia, il cedimento in un settore, o un'abile manovra del nemico, conduceva alla rottura di tale equilibrio, allora cominciava una vera e propria carneficina. I soldati della parte il cui schieramento era stato compromesso si trovavano a combattere isolatamente contro un nemico che avanzava a ranghi serrati; ne seguivano il panico e il massacro.

La situazione non è difficile da immaginare. Chiudete gli occhi e sognate di trovarvi in una pianura, fianco a fianco con i vostri compagni davanti alla schiera del nemico che avanza. Gli scudi cozzano con fragore, le lance tentano di oltrepassarne la coltre, voi piantate i piedi nel terreno e spingete cercando di difendervi e di colpire. Lo stesso fanno i soldati dell'altra schiera. Al vostro fianco e dietro di voi ci sono i vostri compagni, siete abbastanza protetti e, soprattutto, non vi sentite soli. In questa fase della battaglia le perdite sono limitate e voi avete buone probabilità di salvarvi. Molto spesso la giornata si concludeva senza che una delle due parti avesse il sopravvento, la sera si curavano i feriti, si seppellivano i morti e ci si preparava allo scontro successivo. 

Qualche volta le cose prendevano una piega diversa. Immaginate. Il vostro schieramento cede, si sbanda, vi ritrovate con pochi compagni al fianco, se non da soli, davanti al nemico che avanza a ranghi compatti. Affrontarlo è un suicidio, tentate di fuggire ma ne siete impediti dalla massa dei vostri compagni che ancora resistono. Siete stanchi, coperti di sangue e polvere, le grida della battaglia vi sovrastano, vedete morire a decine i vostri compagni, siete presi dal panico. La vostra fuga impazzita preme sulla schiera di quelli che ancora resistono scompaginandola. Gli ordini degli ufficiali sono coperti dal clamore, ogni ordine scompare e ognuno pensa solo a se stesso. Il nemico avanza implacabile e appare invincibile. Nelle retrovie si diffonde il sentore che qualcosa non sta andando per il giusto verso, prevale lo scoramento. E' un momento delicato e cruciale.

La battaglia è persa ma non è ancora il disastro. Sarebbe sufficiente organizzare una linea di difesa che, resistendo per un po', permetta al grosso dell'esercito di porsi in salvo e, a tal fine, alcuni ufficiali dalle retrovie avanzano con le forze di riserva. Tutto dipende da essi e dalla fiducia che sapranno riscuotere tra le truppe già in rotta. Prevarrà la fiducia o sarà il panico?

Quali parole grideranno gli ufficiali della riserva? A quali valori faranno essi appello? Ma soprattutto: ci sono valori ai quali fare appello? Grideranno essi che la Patria è in pericolo? Che è bello e giusto morire per difenderla? O i soldati ai quali essi si rivolgono sono solo i sudditi di un impero, non hanno una Patria, sono addirittura dei mercenari?


Migliaia di anni dopo


C'è un'altra guerra in corso, la chiamano lotta di classe. Si confrontano organizzazioni politiche. L'esito appare incerto, si combatte soprattutto nei luoghi di lavoro, nelle elezioni, sul terreno della cultura. Anche con le armi, ma in luoghi che appaiono lontani dal baricentro degli eventi. Nel cuore della battaglia, al posto delle mitragliatrici, degli obici, dei bombardieri, ci sono la letteratura, la stampa, la televisione. Voi siete lì. Al vostro fianco e dietro di voi i vostri compagni, vi sentite protetti. 

Uno dei due schieramenti ha un cedimento. E' il 1989.

Il nemico avanza a ranghi compatti. Dai suoi altoparlanti giungono inviti alla resa, all'inutilità di ogni forma di resistenza organizzata. Viene promessa non solo clemenza per i vinti, ma addirittura gli si promette un futuro radioso. Quello che avanza, gridano gli altoparlanti, non è il nemico, ma un nuovo ordine che porterà giustizia, pace e civiltà.

Chi sono coloro che ascoltano?

Sono essi uomini e donne che hanno una Patria, valori condivisi, un'identità collettiva, o un insieme indistinto di interessi individuali? 

Da ciò, e solo da ciò, dipenderà il successo degli appelli alla resistenza degli "ufficiali della riserva".

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