martedì 21 ottobre 2014

La resilienza dell'€uro (14)

L’Italia rampante (e note personali)


Il nuovo indirizzo di politica economica iniziò subito a dare i suoi frutti. Superata la fase più acuta della crisi mondiale, il PIL tornò a crescere, ma a tassi strutturalmente più bassi rispetto al decennio precedente. Il debito pubblico, invece, salì vertiginosamente, trascinato verso l’alto non da un aumento della spesa pubblica, sebbene la stampa dell’epoca (Repubblica in testa) grondasse di continui e disperati richiami alla necessità di operare tagli alla spesa pubblica, ma dagli interessi. La figura a sinistra è più che eloquente.

Se concentriamo la nostra attenzione sulla curva degli interessi, notiamo che questa presenta, negli anni che vanno dal 1980 al 1994, due fasi di rapida salita (1980-1983 e 1987-1993) inframmezzate da un periodo in cui si mantiene più o meno stabile. Entrambe le fasi di crescita sono strettamente correlate al quadro internazionale. Dal 1980 al 1983 la crescita degli interessi fu trainata dalla politica restrittiva americana, in risposta alla fiammata inflazionistica prodotta dal secondo shock petrolifero. Tuttavia, alla rapida discesa dell’inflazione (dal 21.2% nel 1980 al 4.7% nel 1987) non fece seguito, per l’Italia, una proporzionale riduzione degli interessi pagati sui titoli di stato, per l’esigenza di mantenere la lira entro i parametri dello SME: i riallineamenti delle parità del giugno 1982 (7% rispetto al marco) e del marzo 1983 (8% rispetto al marco) ebbero il solo effetto di arrestarne la crescita. Tuttavia, grazie alla ripresa dell’economia mondiale, anche quella italiana tornò a crescere. Dal minimo nel decennio dello 0.41% nel 1982, si ebbero una serie di annate positive (1983 1.17%, 1984 3.23%, 1985 2.8%, 1986 2.86%, 1987 3.19%, 1988 4.19%). Erano gli anni del primo e secondo governo Craxi, della barca che andava, del sorpasso dell’Inghilterra, del made in Italy, dei “capitani coraggiosi” (De Benedetti, Gardini, Benetton, Berlusconi), della cultura dell’effimero e della disco music.

Erano anche gli anni della mia gioventù. Nel 1985 ero stato assunto in Ansaldo, a Genova, insieme a centinaia di giovani ingegneri provenienti da tutta Italia, nell’ambito del piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva la costruzione di sei centrali nucleari. Fui inquadrato in uno dei due dipartimenti che dovevano occuparsi dei sistemi di controllo e sicurezza della prima centrale da realizzare, quella di Trino Vercellese 2.  Ho un’infinità di ricordi di quel periodo, per me denso di nuove esperienze sia lavorative che personali, ma due di esse mi sono rimaste impresse nella memoria. La prima risale alla mattina del 26 aprile 1986. Ero in bagno intento a farmi la barba, nel difficile tentativo di recuperare un aspetto presentabile che nascondesse gli stravizi della sera prima, quando la musica della radiolina a pile si interruppe per un’edizione speciale del giornale radio. C’era stato un grave incidente nucleare a Černobyl', in Ucraina. Quando udii che il reattore era di tipo RBMK moderato a grafite la mia ansia raggiunse il colmo. Quel tipo di reattore, che è intrinsecamente instabile, era usato in Unione Sovietica per la produzione di plutonio per scopi militari. Chiamai subito mia madre e, dopo averle spiegato l’accaduto, le ingiunsi di barricarsi in casa, possibilmente tappando ogni possibile spiffero con stracci umidi. Mia madre, ovviamente, mi prese per pazzo e, per calmarmi, mi disse “la Russia è lontana”, al che io risposi “Mi avete fatto studiare? Adesso fate come vi dico io!”. Non vi tedierò con il racconto di come sarebbero potute andare le cose nel peggiore dei casi! Vi basti sapere che i venti soffiarono, in quei giorni, nella direzione di spingere la nube radioattiva verso le immense e quasi disabitate regioni della Russia centrale, e che solo una piccola parte della grafite prese fuoco. L’incidente ebbe l’effetto di indurmi a una profonda riflessione sulla scelta professionale che avevo fatto, il cui esito furono le mie dimissioni da Ansaldo, un anno e mezzo dopo.

Qualche mese prima che le mie dimissioni diventassero effettive tutti noi eravamo impegnati nel consolidamento degli stadi progettuali, come misura cautelare in vista del referendum sul nucleare il cui esito, si prevedeva, avrebbe posto fine al tentativo di costruire nuove centrali nucleari. Il carico di lavoro, ovviamente, andava scemando, ragion per cui avevamo più tempo per chiacchierare. Dall’inizio del 1987 i mercati azionari europei e americani erano in piena effervescenza e più di qualcuno dei miei colleghi si era dato al gioco di borsa. Tutte le mattine i fortunati che, avendo qualche risparmio, si erano lanciati nell’avventura, ci aggiornavano sugli andamenti azionari, mentre  io, che mi mangiavo lo stipendio fino all’ultima lira e dunque non potevo “giocare”, li ascoltavo rosicando un po’.  Smisi di farlo un giorno di ottobre del 1987, quando vidi la faccia di un giovane collega, che seguiva gli indici di borsa sul terminale, diventare bianca come un lenzuolo. Non so che azioni avesse acquistato, ma per il resto del tempo che passai in Ansaldo lo vidi sempre lavorare in silenzio, a testa china e senza l’ombra di un sorriso sul giovane volto.

All’inizio del 1988 ero tornato a Roma, questa volta in un’azienda di medie dimensioni che produceva componentistica elettronica e sistemi di telecontrollo. Pieno di entusiasmo e di energia sognavo di far carriera crescendo insieme all’azienda, al cui successo volevo contribuire. Non immaginavo che, meno di quindici mesi più tardi, l’azienda avrebbe chiuso e mi sarei ritrovato disoccupato.

3 commenti:

  1. Fiorenzo Fraioli ha scritto: Dall’inizio del 1987 i mercati azionari europei e americani erano in piena effervescenza e più di qualcuno dei miei colleghi si era dato al gioco di borsa.

    Ciao Fiorenzo scusa l'intromissione, ma i mercati azionari erano in effervescenza da quasi un decennio, vado a memoria, l'indice Comit nel 1977 quotava quota 55 e nel maggio del 1986 era a quota 908, massimo storico per quel decennio, superato solo nel 1998. Nel 1987 i mercati erano già in fase di ripiegamento e crollarono dopo il lunedì nero di Wall Street dove il Dow Jones perse oltre il 20% in una sola seduta. Era il 19 ottobre del 1987.Ti racconto un piccolo frammento della mia esistenza.
    Un giorno molti anni fa mi recai in una Sim della mia città e conversando con un vecchio agente di borsa gli dissi che volevo giocare nel mercato azionario. Mi rispose: se lei vuole giocare quella è la porta, in borsa o si lavora o s'investe ma non si gioca.
    Un caloroso saluto Mauro.

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  2. Caro Mauro, forse ho sbagliato anno ed era il 1986. Però ricordo benissimo la vicenda che ho raccontato. Un crollo di borsa, preceduto da un periodo di effervescenza, deve esserci per forza stato nel biennio 1986-87, altrimenti la vicenda che ho narrato non sarebbe stata possibile. Considera due elementi: 1) eravamo giovani e avevamo accesso, attraverso l'infrastruttura Ansaldo, alla rete. 2) io non avevo una lira e, anche grazie a ciò, pensavo solo alla gnocca, ragion per cui più che gli effetti "emotivi" delle vicende di borsa non potevo cogliere. Ma ti assicuro che ci fu un periodo di qualche mese in cui quegli yuppies dei miei colleghi parlavano solo di quotazioni azionarie... e poi si tacquero (mentre io sempre a gnocca andavo... alla grande).

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